giovedì 25 giugno 2015

L’importanza delle piccole cose

Quasi ogni giorno mi riprometto di viaggiare di più e di scrivere sul blog, ma praticamente tutti i giorni ho talmente tanto da fare da addormentarmi sfinita. Non avendo dunque molto da raccontare, credo sia arrivato il momento di spiegare perché mi trovo qui, in piccolo paesino delle Ande, e cosa sto cercando di fare.

La mia esperienza con l’associazione italiana El Comedor Estudiantil ONLUS è iniziata 4 anni fa, quando, appena arrivata a Pisa per studiare, mi sono avvicinata al progetto della scuolad’italiano per migranti del Comedor. L’ambiente mi ha stimolata fin da subito, e così, da un giorno all’altro, ho iniziato anche ad aiutare nella raccolta fondi a sostegno degli altri due progetti che l’associazione stava portando avanti in Perù.

Un anno passò velocemente e, nonostante la mia carriera universitaria mi abbia portata a soggiornare all’estero per vari periodi, ho sempre cercato di mantenere i contatti con quella piccola associazione che era stata un po’ la mamma della mia formazione in ambito di cooperazione e progettazione.

Tornata a Pisa nel settembre 2014, a gennaio ho ricevuto una fantastica proposta: perché non partire per Caracoto per supportare l’associazione locale nel proseguimento del progetto, al fine di scambiare conoscenze e lavorare insieme per individuare strategie di autofinanziamento? In un primo momento, l’entusiasmo l’ha fatta da padrone: dopo aver letto “La casa degli spiriti” a 12 anni conoscere quel continente affascinante e contraddittorio che è il Sud America si era trasformato in uno dei miei più grandi sogni! Col passare dei mesi e l’avvicinarsi della partenza, tuttavia, le paure hanno iniziato a farsi sentire: sarei stata all’altezza dei miei compiti? Sarei riuscita ad integrarmi?

Con ancora tanti dubbi, il 21 aprile 2015 sono partita alla volta di Lima. Qualche giorno nella grande città, e via di nuovo verso sud: destinazione Caracoto! Da due mesi mi trovo in questo paese di circa 6000 abitanti (comprendendo le 9 comunidades campesinas: comunità di contadini che vivono nelle zone più rurali) a 3800 metri d’altezza, situato nella regione di Puno – al confine con la Bolivia. Caracoto è composto per lo più da una decina di strade, negozietti che vendono un po’ di tutto, la piazza centrale e la Chiesa, ed è circondato dalle infinite distese andine. E’ qui, in questa parte remota del mondo, che più di 10 anni fa l’associazione italiana ha deciso di aiutare Padre Manuel, parroco del paese, nella costruzione di un comedor estudiantil, ovvero una mensa che fosse in grado di offrire una dieta completa ed equilibrata a bambin* e student* del posto. Questo perché nella regione di Puno i tassi di denutrizione e malnutrizione sono tra i più alti del Perù, e una delle prime cause di malattie croniche e ritardi psico-fisici - soprattutto nei/nelle più piccol*. Pertanto, con l’intento di sfamare le bocche di chi non ha nemmeno un piatto assicurato al giorno, ha avuto inizio il progetto in cui mi trovo.





Col crescere dell’iniziativa e il sempre maggior coinvolgimento della comunità locale, sono stati aperti prima un asilo e poi una scuola elementare. Lo scopo del progetto è quindi diventato quello di puntare allo sviluppo integrale dei/delle beneficiar*, affinchè possano avere gli strumenti necessari per essere protagonist* del loro futuro e del miglioramento delle proprie condizioni di vita.






Con questo spirito, le attività sono andate aumentando e hanno interessato un maggior numero di persone, che ormai da tempo collaborano per la buona riuscita del progetto. Tuttavia, da qualche anno a questa parte si è posta la sfida forse più grande: come rendere quest’iniziativa sostenibile nel tempo ed indipendente dal sostegno economico italiano? Molte sono le idee, ma poche le risorse – soprattutto dal punto di vista tecnico: in questa zona del paese, infatti, è raro conoscere espert* di progettazione e cooperazione che sappiano portare avanti gli sviluppi di un progetto.

E’ sostanzialmente per questo che sono qui: per cercare di sostenere l’associazione locale nel processo di crescita e definizione degli obiettivi e delle attività future. “Bello!”, mi hanno detto la maggior parte dei/delle mie* amic*, “Ma in cosa consiste esattamente?”. E qui viene il punto migliore: una volta posti gli obiettivi del mio lavoro, ora sono io a gestire le mie giornate cercando di mettere a frutto tutta la teoria imparata in università. Quindi, faccio un po’ di tutto e di più: mi occupo di comunicazione, organizzo attività di autofinanziamento, , rispondo a bandi e ricerco fonti di finanziamento, tengo riunioni col personale. Ogni cosa, ovviamente, cercando di coinvolgere il più possibile le persone interne all’associazione locale, per implementare e condividere quei processi decisionali e quelle competenze che spero saranno utili una volta che il mio tempo qui abbia avuto termine.

Si tratta di uno scambio di conoscenze che non sempre è facile, soprattutto quando ci si scontra con aspetti tipici di una cultura a cui non siamo abituati.  Per esempio, la costante abitudine di dire “sì” anche quando in realtà è “no”: “Sì, lo faccio” e… Adiós! O il perenne vizio di non arrivare puntuali che mi fa perdere tempo e pazienza. Eppure… Sto imparando, e tanto anche. Imparo che la fretta non sempre fa vivere bene, e che a volte ha più senso fermarsi a fare due chiacchiere con chi ti passa accanto, rispetto a correre a lavorare. Imparo che la forza di un sorriso non vale nemmeno mille riunioni ben riuscite. Imparo a non essere troppo fiscale quando vedo che chi ho di fronte ce la sta mettendo tutta. Imparo (e per chi mi conosce bene sa quanto per me possa essere difficile) a lasciarmi abbracciare dai/dalle bambin*, le cui voci mi rimbombano nella testa a causa delle mille domande che mi rivolgono ogni giorno. E imparo ad apprezzare i piccoli cambiamenti: un grazie regalato col sorriso, una giornata passata collaborando, una birra offerta dalle famiglie di chi frequenta la scuola, mentre mi chiedono com’è l’Italia… Ma è stato proprio qualche giorno fa che ho capito l’importanza di quello che sta avvenendo qui, quando una delle cuoche mi ha raccontato che, appena arrivata a lavorare, lei non aveva nemmeno idea di cosa fosse un progetto e di cosa significasse solidarietà; ma che ora, dopo qualche anno, ce l’ha ben presente e cerca di portare avanti questo valore tutti i giorni.

Aurora

giovedì 4 giugno 2015

Le stelle di Caracoto, le porte di Ayaviri e il tramonto di Sillustani

A volte arrivano momenti in cui è necessario staccare dalla quotidianità, per quanto essa possa essere poco “quotidiana” e molto “straordinaria”… Bene, questo momento è arrivato anche per me, che un piao di settimane fa mi sono presa qualche giorno per andare in visita ad un progetto di Economia Solidale e fare un pochino la turista.

La sera prima di partire ho passato parecchio tempo ad osservare le stelle. Sono incredibili, qui, le stelle… Oserei quasi dire una delle cose più belle di questo posto sperso tra le montagne. Sono grandi, come non le ho mai viste in vita mia. Le poche luci, la vicinanza al cielo, il silenzio interrotto solo dalla musica e dalle grida provenienti dalle botteghe – unici spazi di aggregazione a disposizione della comunità caracoteña… Il tutto rende l’atmosfera strana, diversa, quasi incantata. E ci si perde per ore guardando il cielo, pensando all’incredibile esperienza e alle intense emozioni vissute giorno per giorno.

Quella notte sono andata a dormire tranquilla e contenta di scoprire altre realtà solidali presenti nel Surandino. Sono arrivata ad Ayaviri in tarda mattinata, accolta da Vanni (il coordinatore di progetto) e dalla piccola Laila, ed ho trovato davanti a me una cittadina che, nonostante disti solamente un’ora da Juliaca, mi è parsa piuttosto diversa da ciò che avevo visto fino a quel momento. Il Consiglio Municipale, eletto da poco, ha fatto in modo di riordinare alcune parti della città, aprendo un mercato centrale, sistemando le due piazze principali, pulendo le strade. Un posto ordinato e tranquillo, in cui ho respirato un’aria di interessante cambiamento. 





Il progetto che ho visitato si chiama Sumaq Llankay (tradotto dal quechua come “buon lavoro”) e viene portato avanti da una serie di ONG, tra cui la italiana Progettomondo MLAL e la peruana CEPAS Puno, allo scopo di rafforzare le capacità di alcune cooperative locali che producono formaggi e oggetti d’artigianato. Le donne, per quanto non ne siano le uniche beneficiarie, sono spesso le grandi protagoniste di questo processo di empoderamiento[1], vissuto non solo dal punto di vista produttivo ed economico, ma anche organizzativo, relazionale ed umano. All’interno delle cooperative che fanno parte del progetto le decisione su cosa, come, perché e quanto produrre vengono prese insieme, valorando la presenza e l’opinione di tutti i soci e le socie. L’economia messa in moto, dunque, è solidale non solo nelle fasi di ricerca delle materie prime, produzione e vendita, ma anche – e questa credo sia la sua vera forza – nella pianificazione del lavoro, nei processi decisionali, nel garantire a donne e uomini le stesse possibilità lavorative e scardinando quelle dinamiche di potere che spesso tagliano fuori il sesso femminile.

Tutto questo mi è stato mostrato da Vanni e dai suoi collaboratori e collaboratrici, che mi hanno anche istruita sui rituali inca per sacar el susto (far passare uno spavento) e allontanare i karisiri, spiritelli cattivi che assumono svariate sembianze per aggredire gli esseri umani togliendo loro il grasso, ovvero la vita. E’ stato lo stesso Vanni, inoltre, a farmi scoprire una delle cose più interessanti di Ayaviri: le sue porte. Un parte della città, infatti, porta ancora evidenti segni del periodo coloniale: all’interno delle stradine sterrate, circondata da vecchie mansioni, ora per lo più abbandonate, mi sembrava quasi di respirare la stessa aria dei personaggi dei romanzi di Isabel Allende. Di quel periodo, affasciante e tormentoso al tempo stesso, restano soprattutto porte antiche anche più di cent’anni, testimoni silenziose di molti avvenimenti passati e presenti.



Con Vanni ho passato tre giorni di interessanti conversazioni, miste a birra, mista a risate. Suonerà comico, ma solo chi si trova in una realtà così differente dalla propria può capire la bellezza di parlare la variante moderna di italiano e spagnolo (un itagnolo, insomma), analizzando il contesto locale, le sue forme, i suoi colori, i suoi perché.
E’ così che ho capito che quest’esperienza la porterò sempre con me. Ayaviri mi è servita per ritornare più cosciente di quali sono le difficoltà di tutti i giorni e quali di una vita, di quali devo imputare alla realtà in cui mi trovo e quali a me stessa. Mi è servita per dare importanza alle piccole cose, ai piccoli gesti di fiducia dovuti ad un cancacho[2] regalato ed alla presenza di chi mi circonda e agli stimoli che mi può dare.

Pochi giorni dopo il mio rientro, in tutto il Surandino è stata organizzata una protesta di due giorni a sostegno della lotta che molte persone stanno portando avanti nella regione di Arequipa (a poche ore da qui) contro un progetto di miniera denominato “Tía Maria”. Universitar*, minatori e membri della comunità stanno scendendo in varie piazze della regione per dire no ad una costruzione che pare contravvenga gli standard minimi di protezione dell’ambiente a causa dell’emissione di polveri.

Ho approfittato di uno di questi due giorni per andare a vedere Sillustani, un percorso archeologico alla ricerca di alcune tombe inca sparse tra le montagne ed un bellissimo lago. Assurdo, eppure la prima cosa che ho notato una volta arrivata lì è stata l’enorme quantità di facce bianche: inglesi, statunitensi, francesi… Ma dove cavolo si mettono tutt* st* turisti?! Un mese senza vederne nemmeno uno e poi, all’improvviso, puuuf… Eccoti di nuovo in Europa!

Lasciato da parte lo stupore, mi sono persa di nuovo in questo paesaggio meraviglioso che non finirà mai di emozionarmi. Un po’ come quell’arcobaleno inaspettato che è spuntato attraverso il finestrino del piccolo autobus che mi riportava da Ayaviri a Caracoto, facendomi sorridere come solo un arcobaleno tra le Ande potrebbe fare, o come i colori che assume il cielo surandino durante il tramonto. 




"Non abbandonare mai i tuoi sogni, continua a dormire"

Aurora



[1] Dall’inglese empowerment, ovvero presa di coscienza e rafforzamento delle proprie conoscenze e capacità al fine di migliorare le proprie condizioni personali.
[2] Piatto tipico di Ayaviri, si tratta di agnello al forno con papate e aji (una salsa piccante).