A
volte arrivano momenti in cui è necessario staccare dalla quotidianità, per
quanto essa possa essere poco “quotidiana” e molto “straordinaria”… Bene,
questo momento è arrivato anche per me, che un piao di settimane fa mi sono
presa qualche giorno per andare in visita ad un progetto di Economia Solidale e
fare un pochino la turista.
La
sera prima di partire ho passato parecchio tempo ad osservare le stelle. Sono
incredibili, qui, le stelle… Oserei quasi dire una delle cose più belle di
questo posto sperso tra le montagne. Sono grandi, come non le ho mai viste in
vita mia. Le poche luci, la vicinanza al cielo, il silenzio interrotto solo
dalla musica e dalle grida provenienti dalle botteghe – unici spazi di
aggregazione a disposizione della comunità caracoteña… Il tutto rende
l’atmosfera strana, diversa, quasi incantata. E ci si perde per ore guardando
il cielo, pensando all’incredibile esperienza e alle intense emozioni vissute
giorno per giorno.
Quella
notte sono andata a dormire tranquilla e contenta di scoprire altre realtà
solidali presenti nel Surandino. Sono arrivata ad Ayaviri in tarda mattinata,
accolta da Vanni (il coordinatore di progetto) e dalla piccola Laila, ed ho
trovato davanti a me una cittadina che, nonostante disti solamente un’ora da
Juliaca, mi è parsa piuttosto diversa da ciò che avevo visto fino a quel
momento. Il Consiglio Municipale, eletto da poco, ha fatto in modo di
riordinare alcune parti della città, aprendo un mercato centrale, sistemando le
due piazze principali, pulendo le strade. Un posto ordinato e tranquillo, in
cui ho respirato un’aria di interessante cambiamento.
Il
progetto che ho visitato si chiama Sumaq Llankay (tradotto dal quechua come “buon lavoro”) e viene portato avanti da
una serie di ONG, tra cui la italiana Progettomondo MLAL e la peruana
CEPAS Puno, allo scopo di rafforzare le capacità di alcune cooperative
locali che producono formaggi e oggetti d’artigianato. Le donne, per quanto non
ne siano le uniche beneficiarie, sono spesso le grandi protagoniste di questo processo
di empoderamiento[1],
vissuto non solo dal punto di vista produttivo ed economico, ma anche
organizzativo, relazionale ed umano. All’interno delle cooperative che fanno
parte del progetto le decisione su cosa, come, perché e quanto produrre vengono
prese insieme, valorando la presenza e l’opinione di tutti i soci e le socie.
L’economia messa in moto, dunque, è solidale non solo nelle fasi di ricerca
delle materie prime, produzione e vendita, ma anche – e questa credo sia la sua
vera forza – nella pianificazione del lavoro, nei processi decisionali, nel
garantire a donne e uomini le stesse possibilità lavorative e scardinando quelle
dinamiche di potere che spesso tagliano fuori il sesso femminile.
Tutto
questo mi è stato mostrato da Vanni e dai suoi collaboratori e collaboratrici,
che mi hanno anche istruita sui rituali inca per sacar el susto (far passare uno spavento) e allontanare i karisiri, spiritelli cattivi che
assumono svariate sembianze per aggredire gli esseri umani togliendo loro il
grasso, ovvero la vita. E’ stato lo stesso Vanni, inoltre, a farmi scoprire una
delle cose più interessanti di Ayaviri: le sue porte. Un parte della città,
infatti, porta ancora evidenti segni del periodo coloniale: all’interno delle
stradine sterrate, circondata da vecchie mansioni, ora per lo più abbandonate,
mi sembrava quasi di respirare la stessa aria dei personaggi dei romanzi di
Isabel Allende. Di quel periodo, affasciante e tormentoso al tempo stesso,
restano soprattutto porte antiche anche più di cent’anni, testimoni silenziose
di molti avvenimenti passati e presenti.
Con
Vanni ho passato tre giorni di interessanti conversazioni, miste a birra, mista
a risate. Suonerà comico, ma solo chi si trova in una realtà così differente
dalla propria può capire la bellezza di parlare la variante moderna di italiano
e spagnolo (un itagnolo, insomma),
analizzando il contesto locale, le sue forme, i suoi colori, i suoi perché.
E’
così che ho capito che quest’esperienza la porterò sempre con me. Ayaviri mi è
servita per ritornare più cosciente di quali sono le difficoltà di tutti i
giorni e quali di una vita, di quali devo imputare alla realtà in cui mi trovo e
quali a me stessa. Mi è servita per dare importanza alle piccole cose, ai
piccoli gesti di fiducia dovuti ad un cancacho[2] regalato ed alla presenza di chi mi
circonda e agli stimoli che mi può dare.
Pochi
giorni dopo il mio rientro, in tutto il Surandino è stata organizzata una
protesta di due giorni a sostegno della lotta che molte persone stanno portando
avanti nella regione di Arequipa (a poche ore da qui) contro un progetto di
miniera denominato “Tía Maria”.
Universitar*, minatori e membri della comunità stanno scendendo in varie piazze
della regione per dire no ad una costruzione che pare contravvenga gli standard
minimi di protezione dell’ambiente a causa dell’emissione di polveri.
Ho
approfittato di uno di questi due giorni per andare a vedere Sillustani, un
percorso archeologico alla ricerca di alcune tombe inca sparse tra le montagne
ed un bellissimo lago. Assurdo, eppure la prima cosa che ho notato una volta
arrivata lì è stata l’enorme quantità di facce bianche: inglesi, statunitensi,
francesi… Ma dove cavolo si mettono tutt* st* turisti?! Un mese senza vederne
nemmeno uno e poi, all’improvviso, puuuf… Eccoti di nuovo in Europa!
Lasciato
da parte lo stupore, mi sono persa di nuovo in questo paesaggio meraviglioso
che non finirà mai di emozionarmi. Un po’ come quell’arcobaleno inaspettato che
è spuntato attraverso il finestrino del piccolo autobus che mi riportava da
Ayaviri a Caracoto, facendomi sorridere come solo un arcobaleno tra le Ande
potrebbe fare, o come i colori che assume il cielo surandino durante il
tramonto.
"Non abbandonare mai i tuoi sogni, continua a dormire" |
Aurora
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