sabato 18 luglio 2015

Passare in meno di 24 ore dall'essere cullati dal caldo afoso di un'estate in arrivo al freddo polare di un inverno inoltrato è cosa strana, è come chiudere gli occhi, addormentarsi e tornare indietro di 4 mesi dal niente, come se il domani fosse veramente l'altro ieri che avevamo sognato.
Sono ormai qui in questo paese peruviano catapultato sulle Ande da 3 settimane, il tempo necessario per rendermi conto che anche questo è un piccolo paesino di circa 5 mila anime come il mio dal quale provengo, ma che la realtà non è così facilmente immaginabile come si può pensare dall'Italia.
Già, per tutte le persone che seguono il progetto dal mio paese è difficile immaginare come realmente si svolga la vita qui, la conformazione del territorio, le montagne che ti abbracciano, le case che sembrano non avere un concetto ben definito di casa, in continua costruzione, in continuo mutamento, che non si sa se mai avranno una fine, l'odore forte dell'aria che si respira, un misto di cucina tipica e inquinamento, le persone che ti guardano come fossi un extraterrestre, quel gringo arrivato da lontano per portare la novità al borgo.
E' riuscendo bene ad intendere come funziona la vita qui che si capisce che è veramente come trovarsi in una di quelle telenovelas che passano anche sui nostri canali, un intreccio di amori e gelosie che lasciano i loro segni nei piccoli bimbi che scorrazzano per le strade, con le guanciotte bruciate dal sole e quegli occhioni semiorientali.
Ho appena il tempo di riposare un po' che mi subito mi ritrovo in questa vita apparentemente calma, che non sembra stare al passo coi tempi dettati dall'ordine mondiale, che preferirebbe starsene nella sua origine primordiale, vivendo di quel che si ha.
Parlando di modernità reale, inizio adesso seriamente a capire l'importanza di questo progetto iniziato forse con non tante aspettative, ma che oggi può offrire una reale prospettiva di futuro ai bambini che trova sotto la sua ala, un progetto che fu avviato con la sola idea di poter combattere la denutrizione in un paesino ancora fortemente legato alla tradizione del campo, ma contornato da fatiscenti industrie che non ne permettono il buon funzionamento ma che anzi ne minano la continuazione costringendo molte famiglie alla famosa traversata verso la città per trovare e provare la vera vita moderna e che è riuscito  a sviluppare  nel tempo oltre ad un asilo, una scuola primaria, per offrire una buona prima formazione inserendo così i bambini in una nuova dinamica, magari un po' più lontano da questa realtà ma con più possibilità di inserimento personale, con più cultura e pensiero critico, in un paese ancora fortemente legato alle logiche di casta, dove all'università, per frequentare la facoltà di storia si spendono sui 150 soles mensili, per frequentare invece la facoltà di ingegneria, 290.
Quanto a me, posso dire che sto bene, non è una vacanza da sogno questa, è anzi l'ennesima opportunità per mettermi in gioco, per modificare le mie visioni, per poter parlare con più cognizione di causa riguardo certi argomenti delicati, per poter conoscere una nuova cultura, per poter parlare con persone che non solo sono diverse fisicamente ma anche nel loro modo di pensare, vedere e di rapportarsi con il mondo, per poter apprendere e magari insegnare qualcosa.
Sembra difficile all'inizio, ma poi ti abitui, ti abitui ai fumi culinari che ti trapassano il naso, ti abitui agli scarichi delle macchine che sfrecciano all'impazzata per le stradine come animali rincorsi dai loro cacciatori, ti abitui alle frecciatine degli abitanti che non frequentemente entrano a contatto con il diverso, ti abitui alla doccia tiepida, al freddo che penetra fin nell'anima, ai tubi congelati la mattina che non fanno uscire acqua, alla mancanza del nostro amato riscaldamento, a stare in casa con il giacchetto, alle case senza un minimo di decorazione estetica , completamente fatte di mattoni, ai microbus che ospiterebbero un intero paese pur di poter guadagnare di più, alle discariche abusive ai piedi del monte, ti abitui soprattutto a non abituarti a niente ma a capire che tutto fa parte del gioco, che tutto è una nuova scoperta, che tutto è una novità e 
Quelli che però hanno da insegnarti di più sono i bambini, alcuni dei quali ti fanno capire che nel nostro mondo per quanto possa sembrare difficile l'infanzia abbiamo comunque una grande fortuna, alcuni dei quali vengono e ti guardano con quegli occhioni curiosi ed iniziano a bombardarti di domande per iniziare a capire cosa potrebbe esserci al di là del loro confine mentale, alcuni dei quali vengono e ti abbracciano con una spontaneità e sincerità che ti ripagano per qualsiasi difficoltà tu possa affrontare, alcuni dei quali, vengono e... Una volta che gli hai donato un sorriso, capisci che questo non è barattabile con nessuna forma di denaro esistente al mondo se non soltanto con un silenzioso grazie dal cuore che si traduce con un altro felice sorriso. è comunque tutto un arricchimento, siamo veramente 3800 metri più vicini a toccare le stelle su nel cielo.
P.s. Auguri mammina, ti voglio bene

Antonio





giovedì 9 luglio 2015

Nuove consapevolezze, nuovi traguardi e nuove avventure

Un’altra settimana a Caracoto è quasi finita, dopo molte attività che stiamo implementando e portando a termine. Nel frattempo, un nuovo membro si è unito alla squadra: è arrivato Antonio, un altro volontario italiano che si occuperà dell’implementazione di un progetto di orti scolastici. Fa un effetto strano ritrovarsi a vivere con un connazionale dopo mesi di “solitudine etnica”: in lui rivedo e risento lo stupore, la meraviglia e lo stordimento di fronte al bombardamento di odori, rumori e sensazioni che la rapida ascesa alle Ande ha causato anche in me. E mi sento meno strana, meno matta.
Solo ora ho capito che non potermi confrontare con nessuno su quello che stavo vivendo, dato che qui per chiunque si trattava di una realtà piuttosto scontata, è stata una prova difficile. Sentirsi stranier* in terra straniera… Eppure, subito dopo averlo realizzato, è arrivata anche la consapevolezza che ormai mi sento un po’ più a casa. E che mi mancheranno non solo il paesaggio mozzafiato e le camminate sotto il sole, ma addirittura le strade polverose e caotiche di Juliaca, i cani per strada, l’odore di birra alle feste di paese. Il Titikaka e la sua tranquillità, Puno e la sua gioia, le stesse canzoni alla radio per un mese, le trecce lunghe delle donne. E l’elenco potrebbe non finire mai, perché ormai anche nel Surandino, come in tanti altri posti del mondo che ho avuto la fortuna di conoscere, lascio un pezzo del mio cuore.
I ricordi si sommano, creando un interessante intreccio di situazioni paradossali, esperienze assurde e sogni ad occhi aperti che fanno di Caracoto la mia Macondo personale. Gli ultimi (in ordine temporale) di questi avvenimenti sono stati il día del campesino e la fiesta de San Pedro y San Pablo ad Arapa, un piccolo paese a circa un’ora da Caracoto.
Il 24 giugno di ogni anno, infatti, è festa nazionale in Perù: la festa incaica che celebrava il dio Sole, nota anche come Inti Raymi, è stata successivamente sostituita da una giornata dedicata al prezioso lavoro dei contadini e contadine che per anni hanno sostenuto l’economia del paese, fino a poco fa prevalentemente agricola. Non solo viene celebrato l’impegno di queste persone, spesso discriminate a causa della loro origine india, ma anche la forza della Pachamama[1], la madre di tutte le sementi peruane, famose per i loro fondamentali nutrienti. Personalmente, ho condiviso questa giornata con i bambini e la bambine della scuola del progetto, che mi hanno guidata in quest’incredibile mondo fatto di tradizioni sconosciute e cibi mai provati. Ancora una volta, ho avuto modo di toccare con mano quant’è bello lo scambio tra culture diverse, che arricchisce sotto ogni punto di vista. Loro si stupivano della mia ignoranza in merito ai prodotti tipici di un paese in cui, in fondo, vivo da quasi tre mesi; io gli raccontavo di cosa mangiamo e festeggiamento noi in Italia, mentre mi ascoltavano con quelle faccette da cuccioli che per la prima volta vedono il mondo.



Per continuare ad inoltrarmi nelle tradizioni surandine, il 28 giugno ho partecipato con Antonio alla celebrazione di una festa fondamentale in Perù: San Pietro e San Paolo. Per una giornata intera, ho ballato (o, almeno, provato a farlo!) a suon di huyano[2], circondata da persone vestite con gli abiti tipici e felici di dimenticarsi, almeno per un giorno, della fatica di lavorare la terra. Paesaggio magnifico, gente onorata di avere due gringos in mezzo a loro, musica divertente e tante risate… La ricetta giusta per un pomeriggio di spensieratezza che mi ha portata a una sempre maggior consapevolezza di quanto mi stia arricchendo quest’esperienza surandina.




Aurora



[1] Derivata dal quechua, l’espressione significa “madre terra”.
[2] Musica popolare della regione, le cui orchestre uniscono l’uso di strumenti tipici andini ad altri di orgine internazionale (sassono e pianola).