Quasi ogni giorno mi riprometto di viaggiare
di più e di scrivere sul blog, ma praticamente tutti i giorni ho talmente tanto
da fare da addormentarmi sfinita. Non avendo dunque molto da raccontare, credo
sia arrivato il momento di spiegare perché mi trovo qui, in piccolo paesino
delle Ande, e cosa sto cercando di fare.
La mia esperienza con l’associazione italiana
El Comedor Estudiantil ONLUS è iniziata 4 anni fa, quando, appena
arrivata a Pisa per studiare, mi sono avvicinata al progetto della scuolad’italiano per migranti del Comedor. L’ambiente mi ha stimolata fin da subito,
e così, da un giorno all’altro, ho iniziato anche ad aiutare nella raccolta
fondi a sostegno degli altri due progetti che l’associazione stava portando
avanti in Perù.
Un anno passò velocemente e, nonostante la
mia carriera universitaria mi abbia portata a soggiornare all’estero per vari
periodi, ho sempre cercato di mantenere i contatti con quella piccola
associazione che era stata un po’ la mamma della mia formazione in ambito di
cooperazione e progettazione.
Tornata a Pisa nel settembre 2014, a gennaio
ho ricevuto una fantastica proposta: perché non partire per Caracoto per
supportare l’associazione locale nel proseguimento del progetto, al fine di
scambiare conoscenze e lavorare insieme per individuare strategie di
autofinanziamento? In un primo momento, l’entusiasmo l’ha fatta da padrone:
dopo aver letto “La casa degli spiriti” a 12 anni conoscere quel continente
affascinante e contraddittorio che è il Sud America si era trasformato in uno
dei miei più grandi sogni! Col passare dei mesi e l’avvicinarsi della partenza,
tuttavia, le paure hanno iniziato a farsi sentire: sarei stata all’altezza dei
miei compiti? Sarei riuscita ad integrarmi?
Con ancora tanti dubbi, il 21 aprile 2015
sono partita alla volta di Lima. Qualche giorno nella grande città, e via di
nuovo verso sud: destinazione Caracoto! Da due mesi mi trovo in questo paese di
circa 6000 abitanti (comprendendo le 9 comunidades
campesinas: comunità di contadini che vivono nelle zone più rurali) a 3800
metri d’altezza, situato nella regione di Puno – al confine con la Bolivia.
Caracoto è composto per lo più da una decina di strade, negozietti che vendono
un po’ di tutto, la piazza centrale e la Chiesa, ed è circondato dalle infinite
distese andine. E’ qui, in questa parte remota del mondo, che più di 10 anni fa
l’associazione italiana ha deciso di aiutare Padre Manuel, parroco del paese,
nella costruzione di un comedor estudiantil,
ovvero una mensa che fosse in grado di offrire una dieta completa ed
equilibrata a bambin* e student* del posto. Questo perché nella regione di Puno
i tassi di denutrizione e malnutrizione sono tra i più alti del Perù, e una
delle prime cause di malattie croniche e ritardi psico-fisici - soprattutto
nei/nelle più piccol*. Pertanto, con l’intento di sfamare le bocche di chi non
ha nemmeno un piatto assicurato al giorno, ha avuto inizio il progetto in cui
mi trovo.
Col crescere dell’iniziativa e il sempre
maggior coinvolgimento della comunità locale, sono stati aperti prima un asilo
e poi una scuola elementare. Lo scopo del progetto è quindi diventato quello di
puntare allo sviluppo integrale dei/delle beneficiar*, affinchè possano avere
gli strumenti necessari per essere protagonist* del loro futuro e del
miglioramento delle proprie condizioni di vita.
Con questo spirito, le attività sono andate
aumentando e hanno interessato un maggior numero di persone, che ormai da tempo
collaborano per la buona riuscita del progetto. Tuttavia, da qualche anno a
questa parte si è posta la sfida forse più grande: come rendere
quest’iniziativa sostenibile nel tempo ed indipendente dal sostegno economico
italiano? Molte sono le idee, ma poche le risorse – soprattutto dal punto di
vista tecnico: in questa zona del paese, infatti, è raro conoscere espert* di
progettazione e cooperazione che sappiano portare avanti gli sviluppi di un
progetto.
E’ sostanzialmente per questo che sono qui:
per cercare di sostenere l’associazione locale nel processo di crescita e
definizione degli obiettivi e delle attività future. “Bello!”, mi hanno detto
la maggior parte dei/delle mie* amic*, “Ma in cosa consiste esattamente?”. E
qui viene il punto migliore: una volta posti gli obiettivi del mio lavoro, ora
sono io a gestire le mie giornate cercando di mettere a frutto tutta la teoria
imparata in università. Quindi, faccio un po’ di tutto e di più: mi occupo di
comunicazione, organizzo attività di autofinanziamento, , rispondo a bandi e
ricerco fonti di finanziamento, tengo riunioni col personale. Ogni cosa,
ovviamente, cercando di coinvolgere il più possibile le persone interne
all’associazione locale, per implementare e condividere quei processi
decisionali e quelle competenze che spero saranno utili una volta che il mio
tempo qui abbia avuto termine.
Si tratta di uno scambio di conoscenze che
non sempre è facile, soprattutto quando ci si scontra con aspetti tipici di una
cultura a cui non siamo abituati. Per
esempio, la costante abitudine di dire “sì” anche quando in realtà è “no”: “Sì,
lo faccio” e… Adiós! O il perenne
vizio di non arrivare puntuali che mi fa perdere tempo e pazienza. Eppure… Sto
imparando, e tanto anche. Imparo che la fretta non sempre fa vivere bene, e che
a volte ha più senso fermarsi a fare due chiacchiere con chi ti passa accanto,
rispetto a correre a lavorare. Imparo che la forza di un sorriso non vale
nemmeno mille riunioni ben riuscite. Imparo a non essere troppo fiscale quando
vedo che chi ho di fronte ce la sta mettendo tutta. Imparo (e per chi mi
conosce bene sa quanto per me possa essere difficile) a lasciarmi abbracciare
dai/dalle bambin*, le cui voci mi rimbombano nella testa a causa delle mille
domande che mi rivolgono ogni giorno. E imparo ad apprezzare i piccoli
cambiamenti: un grazie regalato col sorriso, una giornata passata collaborando,
una birra offerta dalle famiglie di chi frequenta la scuola, mentre mi chiedono
com’è l’Italia… Ma è stato proprio qualche giorno fa che ho capito l’importanza
di quello che sta avvenendo qui, quando una delle cuoche mi ha raccontato che,
appena arrivata a lavorare, lei non aveva nemmeno idea di cosa fosse un
progetto e di cosa significasse solidarietà; ma che ora, dopo qualche anno, ce
l’ha ben presente e cerca di portare avanti questo valore tutti i giorni.
Aurora
Ciao Aurora, e ciao Caracoto... quanti ricordi! L'anno scorso ho passato un mese intenso lassù (o laggiù?), e mi immedesimo assolutamente in quello che scrivi. Un grande in bocca al lupo per la tua esperienza, e porta i miei saluti al Comedor!
RispondiEliminaSimone
Cosa ti regala la gente di quel posto anche senza aver un quattrino è indescrivibile.. sono stato nel 2014 per 6 mesi, grazie l associazione giordano liva, e l'amore della gente che mi donava quotidianamente da quando sono tornato mi è sempre mancato.. per Natale torno.. I miei bimbi non ci saranno più in scuola, ma quanto le vorrei rivedere..
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